– Al di là del Nordest: parentele e identità di confine in Slovenia e nell’Istria croata

Di là dal confine che non è mai stato tale per la gastronomia, le terre oggi slovene e croate condividono un passato e un presente di vicinanza davanti ai fornelli con le terre giuliane di Gorizia e Trieste, oltre che con la Serenissima antica “dominante” dei porti adriatici.

E le tipicità dei monti o delle campagne che guardano verso Lubiana, come quelle dell’entroterra e del litorale dell’Istria ,sono un test che perfettamente dimostra la transnazionalità e la similarità dello stare bene a tavola quando si hanno a disposizione gli stessi buoni ingredienti.

Tra Centro Europa e Adriatico

L’Oltreconfine orientale del Nordest italiano viene servito in tavola con due identità: è il punto di confluenza con la cucina italiana delle tradizioni culinarie slave (e in qualche caso anche magiare) e delle innovazioni arrivate dalla Mitteleuropa asburgica; ed è il porto di sbarco della tradizione ittico-gastronomica dall’Alto Adriatico interstatale.

Fuori dalle contemporanee interpretazioni eleganti e raffinate che si stanno sempre più affermando con successo, ci sono quindi da cercare le zuppe belle dense e arricchite con carni affumicate, la grande cacciagione, le patate in mille maniere e le torte elaborate anche quando popolari. Oppure i pesci appena pescati e messi in brodeto o passati alla griglia e i crostacei dal perfetto sapore accompagnati dalle verdure degli orti con vista-mare.

Terre di vini autoctoni

Nei bicchieri la Malvasia Istriana è il bianco autoctono più apprezzato nella zona settentrionale del litorale e nell’Istria, dove la vite arrivò, secondo tradizione, portata dai coloni mandati dall’imperatore Marco Aurelio nel II secolo; mentre il Pinot grigio è diventato il vino più popolare di tutta la Croazia.

Tra i rossi – insieme con la Hrvatica che ha di per sé un nome geografico Doc – è il Terrano a marcare la tipicità enologica della zona, già citato in documenti di seicento anni fa. Ma l’Istria ha anche un suo Refosco autoctono e un Borgonja della chiara provenienza francese, ma fattosi vitigno locale.

Per i dessert si stappano il Moscato di Momiano anch’esso autoctono oppure il Moscato rosso di Parenzo.

Mentre verso i confini del Collio sono i bianchi corposi a contare (Riesling, Pinot bianco e grigio), nella parte di Slovenia più prossima al mare, il Primorje, tra i rossi primeggia ancora il Terrano, prodotto con uve Refosco provenienti da vitigni dell’altipiano carsico.

Per il fine pasto, poi, ecco i due bianchi nei cui nomi ritorna il “bilinguismo”: il Pikolìt dalla produzione assai ridotta come in Friuli e la Rebula cugina della Ribolla bianca.

Nomi antichi, menù bilingue

Strazade col sugo de galo cioè maltagliati di pasta al ragù di pollastro. Polenta nera di carne di maiale, sangue e interiora. Sopa de pantalene dove le patelle cuocevano per il magro pasto dei pescatori che il meglio lo vendevano. Risoto pilao arrivato via mare dal pilaf turco. Sarma coi capuzi che involtolano il macinato e gli aromi arrivati dai Balcani. Ghibanizza farcita di meraviglie dolci, la prekmurska gibanica delle pasticcerie slovene…

Ecco appena pochi nomi dai menù popolari veneto-istriani: bastano per confermare l’effetto-crocevia della penisola adriatica (ma lo stesso si potrebbe dire per le vicine zone confinarie del Carso o per la fascia italo-slovena lungo le Alpi Giulie) dove le ricette confondono la loro identità etnica e dove i dialetti italici si mescolavano con le lingue slave tra i profumi delle cucine.

E dove per secoli le portate hanno avuto una dizione bilingue reciprocamente suggerita: gnochi-njoki e parsuto-pršut (quello carsolino è il migliore prosciutto di confine) oppure potica-putizza e struklji-strucoli (gli strudel – perché c’entra anche il tedesco… –  bolliti salati o dolci dentro un canovaccio).

Foto a fianco di Saša Halambek.

Per cercare informazioni e suggerimenti di viaggio:  www.slovenia.info;   www.croatia.hr/it-IT/Homepage;  www.istria-gourmet.com/it