Come e a partire da che cosa si può elaborare un menù tutto provinciale, della provincia di Vicenza, basato sui prodotti inseriti nel “listone” delle Denominazioni Comunali che furono patrocinate da Luigi Veronelli?
Diciamo subito, per prima cosa, baccalà alla vicentina, perché quello campeggia sovrano sulle tavole della provincia bèrica, nei libri di culinaria e nelle conoscenze gastronomiche venete, nordestine e forestiere.
Ricordiamolo arrivato in terraferma dall’estremo nord europeo, portato dai mercanti veneziani; ingentilitosi rispetto a tutti i cugini stoccafissi nella generosa ricetta “made in Vicenza”; diventato, da cibo povero, pietanza illustre, generatrice di feste, meeting interregionali e confraternite. E ricordiamolo “pipare” in casseruola per ore tra olio d’oliva e latte intero dopo essere stato appena infarinato, con la cipolla ben affettata e soffritta, le sarde, il prezzemolo e quel po’ di grana che completa gli ingredienti. Il tutto come vuole la ricetta della Confraternita vicentina e dei ristoratori che lo hanno come DeCo a Sandrigo.
Ma salutiamolo presto, il baccalà, perché il Vicentino è terra che di gastronomia popolare ne conserva molta altra e vi aggiunge a completamento – proseguendo, recuperando, innovando – le ricette che utilizzano un ventaglio ampio e raro di produzioni che si fregiano della Denominazione Comunale, secondo un progetto sviluppatosi qui come in poche altre zone d’Italia. Per non dire dei vini Doc – tutto un capitolo a parte – favoriti dalla molteplicità geografica e geologica delle zone collinari.
La fama dell’asparago, l’Asiago, i vini di tanti colli. Tra il molto che ci sarebbe da raccontare, il minimo riguarda la grandezza e la fama dell’asparago bianco di Bassano Dop (e del suo emulo di Marola, a Torri di Quartesolo); la qualità e la nazionale diffusione del formaggio Asiago nelle versioni dal fresco allo stravecchio (Presidio Slowfood), da cercare in malga sull’Altopiano dei Sette Comuni o nei caseifici della zona Dop; la cantina variata e qualificata delle citate Doc (Gambellara, Lessini Durello, Breganze, Vicenza e Colli Bèrici più la propaggine Arcole oltre il confine col Veronese) che vantano tra le specificità il Recioto di Gambellara, il Vespaiolo e il Torcolato a Breganze, il Tai (ex-Tocai rosso) sui Bèrici e il Durello spumantizzato in bollicine che fanno invidia a più note e rinomate etichette.
Poi tocca all’arte gastronomica delle DeCo vicentine, che ha a disposizione 76 tra prodotti tipici e preparazioni di cucina (…e la lista che per ora si chiude con il radicchio rosso di Asigliano, la sgnappa col miele di Lugo e gli gnocchi di Poianella di Bressanvido non è ancora a numero chiuso). Purtroppo si farà torto a tutte le escluse raccontando solo delle più particolari o meno conosciute tra tutte.
Dagli antipasti ai primi della tradizione. Un menu DeCo alla vicentina può partire con la soprèssa di Valli del Pasubio e con qualche crudité a base di sedano di Rubbio (con un filo di olio extravergine d’oliva di Pove del Grappa o dei Bèrici) oppure arrischiando il gusto forte dalla frìtola co’ la sardèa di Pievebelvicino, memorabile street-food dei tempi che furono, o la saziante esperienza della patona di Tonezza del Cimone, impastata di patate e ciccioli di maiale.
Passando ai primi e proseguendo nella lista ufficiale DeCo si sceglie tra i bìgoli co l’arna di Zanè e del Thienese, le paste e fasòi con i legumi di Pòsina, i bucatini di Lugo Vicentino. Con il riso di Grumolo delle Abbadesse (altro Presidio Slowfood) e con quello leoniceno di Bagnolo si va sul sicuro per tutta la gamma dei classici risotti veneti, sia che si usi il vialone nano sia che si scelga il Carnaroli.
A Recoaro Terme sono di scena gli gnochi co’ la fioréta, semplicemente farina e un po’ di sale impastati con la ricotta ancora semiliquida fermata alla sua prima fase di lavorazione. A Selva di Trissino gli gnocchi di patata. I bucatini alla lughese (parenti stretti dei gargati col consièro della cucina di Schio) ripropongono l’uso storico della pasta fresca.
Le portate principali e i contorni di verdure. Il capretto di Gambellara allo spiedo è una delle preparazioni del Vicentino con più antica tradizione storica accertata nelle carte: marinato un giorno, spennellato accuratamente mentre sta sul focolare, insaporito sul finale di cottura dall’affumicatura leggerissima da qualche brace gettata nel grasso della leccarda.
Non lontano, nella valle del Chiampo, si cuoceva il capòn a la canevera e sono DeCo oggi le trote di Altissimo. Di fiume, in zona Astico, sono i marsoni da friggere e servire con la polentina “mola”: a Bressanvido e Bolzano Vicentino hanno una DeCo dovuta alla presenza ittica nel Tèrgola che nasce dalle risorgive. Sempre in zona risorgive, a nord di Vicenza, sono nella lista delle Denominazioni le trote allevate a Cresole e Vivaro.
A Torrebelvicino il marchio tocca alla bòndola (meglio se con la lingua del maiale), da tagliare in primavera con il cren e i radicchi di campo. A Lusiana alla carneséca di lontana memoria. A Chiampo alla cincionela co’ la rava erede delle ancestrali povertà del mondo rurale che obbligavano a mescolare le rape alle parti poco abbondanti di maiale messe in salsiccia.
Di ben altra ricchezza, invece, i toresani al spèo di Breganze, pronipoti degli abitatori delle vecchie colombare che ancora punteggiano il paesaggio delle contrade rurali tra collina e pianura.
La varietà di gusti degli orti. Ma è negli orti del Vicentino che soprattutto crescono le DeCo: il citato radicchio di Asigliano fattosi concorrente dei “cugini” trevigiani; il bròcolo fiolaro di Creazzo, con il suo nome così caratteristico derivante dal proliferare dei “fiòi” sulla pianta madre, salvato come coltura autoctona dalle cure di appena due produttori superstiti, trasformatisi in “padri” di una diffusione oggi ben assestata dopo essere stata perseguita dall’Amministrazione comunale e dal Consorzio Vicenzaè; la tega spago di Dueville (o tega de Sant’Ana), leguminosa dal frutto lungo fino a 80 centimetri, tanto da essere chiamata anche fagiolo serpente, fagiolo metro o fagiolo frusta (“scùria” in dialetto); la “carota bianca” di Monticello Conte Otto (pastinaca), superstite dalle sparizioni in orto e in cucina dopo l’avvento della carota; i già raccontati fagioli di Posina e asparagi bianchi di Marola; il raro rampùssolo di Villaga.
Ultimi, ma più famosi di tutto il resto, i bisi de Lumignàn: così famosi che si ritrovano nelle ordinazioni che i cuochi dei dogi serenissimi facevano in terraferma quando tornava la primavera e i piselli erano comandati per i risi e bisi serviti “all’onda” e per i contorni più raffinati.
L’arte casearia al di là dell’Asiago. Se l’Asiago è indiscutibilmente il re dei formaggi vicentini, le DeCo sono andate in cerca di produzioni locali di qualità che possono fare da alternativa o almeno da prezioso complemento. E così ecco trovati e classificati – oltre ai prodotti del Grappa non-DeCo, primo tra tutti il Morlacco presidio della biodiversità di Slowfood – il formaggio di Altissimo, prodotto nel caseificio sociale (che fa anche ottimo burro) approvvigionato dagli allevamenti delle alte valli del Chiampo e dell’Agno; il formaggio Verlata della latteria Sant’Antonio di Villaverla, versione dei pressati d’Asiago nobilitata nel nome e nella cura casearia, anche “imbriagàbile” nella maturazione tra le vinacce di uva “clinto”; il Castelgrotta che le Latterie Vicentine hanno imparato ad affinare nelle viscere del colle del Castello di Schio e i caprini di grotta che gli fanno compagnia. E poi ancora i caprini di Marano, gli ovi-caprini di Montegalda, il Monte Faldo di Nogarole e il formajo nel pignato di Caltrano, parente pedemontano del formadi frant friulano prodotto utilizzando (in teoria almeno) forme non riuscite, ben condite con sale, pepe, panna e vino bianco.
Accompagnamento obbligatorio dei formaggi, la polenta ha nel Vicentino una DeCo fattasi famosa in tutto il Veneto centrale, la farina di mais maranèlo proveniente da Marano ; e una concorrente interessante, quella di Isola.
Dolci tra tradizione e innovazione. La mostarda vicentina di Montecchio Maggiore ha storia nei ricettari antichi. Come pure il mandorlato di Lonigo. Tecnologie moderne e capacità pasticciere odierne che valorizzano la tradizione hanno fatto apprezzare la focaccia di Costabissara e il dolce bussolà di Caldogno.
A fine pasto e… per digerire. Marroni e noci di Lugo, mele rosse di Caltrano, ciliegie di Castegnero e Chiampo: la frutta DeCo ha i suoi presidi in tutta la provincia. Ed è naturalmente un trionfo di grappe il fine-pasto tradizionale vicentino: quelle antiche di Montegalda sono nella lista DeCo a buon diritto; quella al clinto di Costabissara è un’altra “antica novità”. Idem per il Girolimino, prodotto secondo l’antica ricetta dei frati del Monte Summano. Ma si può chiudere in tavola anche con novità assolute come il liquore ottenuto con le corniole di Cornedo.
(testo aggiornato da A Tavola con il Nordest 2012 a cura di Luigi Costa)
Info: www.comunideco.it