– I Bonotto, la storia delle Grave, la Prima guerra e i successi del Raboso del Piave

Rossopiave– di Antonio Trentin –

Quando si dice “rosso Piave” si intende Raboso. Matura bene, quell’uva, sulle grave e sui campi sassosi accanto al fiume. Non sarà il più pregiato, magari, ma è il vino forse più veneto di tutti gli altri. Certamente il più trevigiano. Alle Tezze di Vazzola, poco sotto Conegliano, i Bonotto imbottigliano rossi del Piave da tempi immemorabili e il Raboso lì è assolutamente “el paròn de casa”: l’azienda lo fa in mezza dozzina di etichette, fino al rosé, al passito e all'”incrocio” che diventa spumante.

Lo faceva con successo anche alla vigilia della Grande Guerra. Ed è in quel tempo – il 1913 delle prime elezioni in cui votarono tutti i maschi italiani – che fu scattata una splendida foto che ritrae proprio loro, i votanti vincenti, davanti alla maestosa villa rurale perno della tenuta Bonotto. Con in mano un bel bicchiere di Raboso festeggiano l’onorevole professor Edoardo Ottavi, grande enologo e grande viticoltore, fresco di ritorno alla Camera tra i liberal-conservatori del ministro Sidney Sonnino. Lui era un còrso diventato piemontese, assegnato per l’elezione ai collegi sicuri del Veneto moderato. Loro, i rurali della Sinistra Piave, sono l’espressione perfetta del mondo della piccola proprietà veneta di cento anni fa: cappello in testa, baffoni curati, mani da lavoratori, vestito buono.

La foto scattata alle Tezze sta sulla copertina di un inconsueto libro del giornalista e saggista Edoardo Pittalis (Rossopiave, edizioni Biblioteca dell’Immagine, 209 pagine) che intorno alla vicenda della Tenuta Bonotto intesse storie e aneddoti del mondo vitivinicolo trevigiano, allargando le citazioni e le riflessioni alla storia, alla sociologia e all’economia.

Una famiglia e un vino. Un fiume e una guerra: così il sottotitolo di Pittalis. I Bonotto sono i protagonisti, dai (forse antenati) fratelli Michele e Piero che firmano un contratto nel 1580 all’Antonio che oggi impersona l’azienda, passando per il Giovanni sostenitore dell’onorevole nel 1913 e per i giovani tenenti Bonotto che qualche anno dopo sono sotto le armi nella Prima guerra mondiale. Ma è tutto un piccolo mondo imperniato sui campi e sulle vigne che viene raccontato.

Sul ’15-18 Pittalis – che ha lavorato sugli archivi di Casa Bonotto, ma schivando il rischio di fare soltanto un’agiografia di famiglia e ditta – innesta una parte cospicua del suo saggio. E racconta la guerra più sotto l’aspetto socio-ambientale che nei dettagli bellici. Che pure, qui in riva al Fiume sacro alla Patria, sono abbondanti.

Si incontrano nelle pagine di “Rossopiave” i fanti resistenti dopo la rotta di Caporetto, gli inglesi corsi a dare un aiuto, gli austriaci arrivati a occupare tutto il Veneto Orientale, il popolo trevigiano profugo, i parroci che tengono cronaca degli avvenimenti. Nel dopo-Prima guerra e fino a oggi le pagine scorrono più rapide. Dalla ricostruzione dei paesi distrutti al ritorno della buona economia agricola. Dall’entusiasmo padronale per il fascismo alle pene materiali e umane del secondo conflitto mondiale. Dalla ricostruzione-bis in tempo di democrazia (…cristiana, ovviamente: ma un Luigi Bonotto sfiora l’elezione a deputato del Partito liberale anti-centrosinistra nel 1963) agli anni dell’industrializzazione che cambiano radicalmente il volto socio-economico della Pedemontana.

Edoardo Pittalis, Rossopiave. Una famiglia e un vino. Un fiume e una guerra, Biblioteca dell’Immagine, 209 pagine, 14 euro.

(da Il Giornale di Vicenza)