– Un “ricettario” culturale per capire la storia e i luoghi del Veneto che fu

di Antonio Trentin

«Mi a so’ veneto. E ti?». Quaranta e passa anni fa, all’avvento del primo venetismo partitico, sui muri dal Garda all’Adriatico e dalle Dolomiti al Po si leggevano manifesti con quell’autoclassificazione e quel quesito. Ne discorrevano in pochi, allora, ma ne sarebbero derivati rapidamente – nella politica in senso stretto e nel sentire sociale – autonomismi e indipendentismi, lighismi e leghismi, prese di coscienza identitarie e propositi enciclopedici di valorizzazione delle “tradizioni”.

Ma chi erano i veneti di allora, membri di una società già completamente trasformatasi in una sola generazione (da rurale ed emigrante a industriale e spendereccia) e poi destinata, in un’altra generazione e mezza, a farsi culturalmente sgretolare da modernità, modelli televisivi e globalizzazione economica? Erano, forse, esattamente quei veneti che ancora vivevano la loro storia personale tutta dentro l’eredità vasta che Francesco Jori – grande giornalista e valente saggista – compendia nel suo ultimo “libro storico”, edito dalla Biblioteca dell’Immagine.

“Veneti. Ricettario della memoria” è stato scritto come una piccola enciclopedia del vivere e del sapere regionale di un tempo che non c’è più, gustosa da leggere per quello che tramanda e però a tratti impegnativa per quello che non tace. Jori riassume il passato, ma lo proietta sul presente fatto di omogeneizzazione culturale che devenetizza la gioventù e non solo (con in più l’ingombrante apporto dell’immigrazione di 170 diverse etnie), di incanutimento della popolazione (23 per cento di ultrasessantacinquenni) e di impoverimento demografico (quanti saranno, tra un paio di generazioni, i veneti-veneti che più non figliano?).

   Imponente, nel racconto, è la rassegna di figure, parole, proverbi, ricette, strumenti, feste e segni identitari con i quali l’autore tesse il racconto della triade valoriale rimasta valida per secoli. Religione, famiglia, terra: contava questo per i corregionali di una volta. Comandavano i sani principi della Chiesa, secondo il ritmo delle feste che scandivano usi e costumi. Si viveva nella e per la cerchia dei congiunti, più o meno stretti, dentro la quale si consumavano amori e rancori. Il campo misurava l’economia e la geografia, esclusa Venezia che andava per rotte sue.

   Di ciascun ambito il “ricettario” di Jori annota gli ingredienti storico-sociali come diffusi e variamente interpretati nel territorio. Dalle Madonne dei pellegrinaggi, più famosa di tutte quella di Monte Berico, agli aureolati ben spartiti zona per zona che calamitavano le pie devozioni, capeggiati da Marco veneziano e Antonio padovano. Dai rapporti dentro la famiglia patriarcale, dove “paron” e “parona” si spartivano le aree di influenza, alle scarse interazioni interpersonali con unici scenari il filò serale in stalla e la domenica dopo la messa. Dalla faticosa attività rurale della maggior parte della popolazione, largamente prevalente sulle dimensioni industriali concentrate in poche città, allo scadenzario della meteorologia e delle pratiche agricole, titolate con i nomi dei santi del calendario.

   Sarà il progressivo, rapidissimo, distacco da questo schema socio-economico e scardinare mille anni di “tradizione”, a fare della regione la locomotiva del Pil nazionale e a far finire un modello consolidato per far nascere “il modello veneto”, prima trionfante, poi incrinato. “Veneti. Ricettario della memoria” legge i segni di questo trapasso e annoda i fili dell’antico con quelli del presente.