– di Antonio Trentin –
Una vacanza fuori stagione nel Cilento? Ottima idea se si ama il mare di primavera, fuori dalla ressa, quando le bellezze delle baie non patiscono ancora gli affollamenti in acqua e sulla spiaggia; e quando l’interno è più vero, tutto vissuto da chi vi risiede, sui colli e i monti che scorgono lontano il Tirreno.
Il Parco nazionale del Cilento-Vallo di Diano-Alburni si estende su 180 mila ettari e dall’Unesco ha ricevuto tre riconoscimenti preziosi: per le ricchezze naturali e storico-archeologiche è nella Lista del Patrimonio dell’Umanità, nella rete-parchi Global Geoparks Network e tra le Riserve mondiali della Biosfera.
L’interno di paesi e di montagne. I paesi cilentani hanno nella loro memoria le scorrerie provenienti dal mare: sono costruiti alti sui colli che vedono il mare; hanno castelli (più spesso, purtroppo, resti di castelli) da dove governavano i feudatari di regni e imperi; con la costa hanno il rapporto strano di chi sa che la moderna ricchezza è lì, sulle spiagge e nei porticcioli; ma restano tenacemente abbarbicati alle difficili colture delle vigne di Aglianico e Fiano, all’orticoltura, agli allevamenti che danno grandi formaggi ovini e caprini.
Sorse riparata dalle scorribande navali Roccagloriosa (IV-V sec. a.C.) che conserva antiche tombe lucane. E hanno radici medievali i centri che più tardi, per sopravvivere e proteggersi, facevano conto sulla guardia delle torri costiere d’avvistamento contro i Saraceni volute dai Vicerè spagnoli a metà del Cinquecento.
A Camerota Alta si visitano i resti del castello (foto accanto) dove culminano le strette vie affollate di case, di chiese e di qualche raro palazzo baronale.
Tra le rocce e la vegetazione del monte di Capaccio Vecchio, i ruderi del castello dominano la pianura dove la Magna Grecia ha lasciato Paestum, l’antica Poseidonia: il luogo racconta la congiura dei baroni locali contro il potente imperatore svevo Federico II nel XIII secolo. Anche a San Severino si ritrovano castello, palazzo baronale e case plurisecolari.
La Madonna di Novi, sul monte Gelbison che in arabo significa Montagna dell’Idolo, fu luogo sacro già prima che i monaci basiliani fondassero il santuario nel X secolo.
L’Uomo di Camerota. In un territorio che di grotte e caverne abbonda, Marina di Camerota ha una splendida costa rocciosa interrotta da poche piccole baie.
La Cala Bianca e la Baia degli Infreschi (qui accanto) sono state negli ultimi anni tra le spiagge più belle d’Italia votate da Legambiente.
Ma è proprio all’uscita dal paese, a pochi passi dalla spiaggia della Lentiscella, che si apre la Grotta della Cala, di rilevante interesse scientifico per i ritrovamenti che sono presentati al Museo virtuale del Paleolitico di Marina (www.camerotamuvip.eu).
La linea costiera distava tra i 4 e i 7 chilometri quando, in tempo di glaciazione, nel Paleolitico inferiore, tra i 30 e 10 mila anni fa, vi vissero l’Uomo di Neanderthal prima dell’estinzione e l’Homo Sapiens, che inizialmente i ricercatori individuarono come Uomo di Camerota attribuendogli le caratteristiche di “anello di congiunzione” nell’evoluzione umana.
Elea che divenne Velia. Nel Comune di Ascea, centro geografico del Parco del Cilento lato mare, sono visitabili – anche in abbinata con Paestum che sorge ai confini del Parco del Cilento – gli scavi della città antica che i focei in fuga dall’Asia Minore, preda dei Persiani, fondarono col nome di Elea e che diventò Velia sotto i Romani.
Nel V secolo avanti Cristo vi tennero scuola – la Scuola Eleatica che per prima pose il problema filosofico dell’Essere – Parmènide (suo il busto nel museo di Elea-Velia), Melisso, Senòfane e Zenone.
Nel ricordo di quest’ultimo ci si può immedesimare percorrendo la strada pavimentata con pietre sistemate in verticale che sale dalla zona dell’antico porto (poi interratosi) fin su all’acropoli: forse fu qui che Zenone cogitò su Achille e sulla tartaruga protagonista dell’”assurdo” filosofico-logico che la vedeva sempre un po’ più avanti del pie’ veloce eroe dell’Iliade, lanciato in un inseguimento sofisticamente impossibile (ogni volta che lui raggiungeva un punto in cui era stata lei, lei gli era passata un po’ più avanti…).
Ai lati della via selciata sono stati scavati una necropoli romana, la Porta Marina, un’edificio pubblico di difficoltosa interpretazione, le terme del II sec. d. C. e il teatro scavato nella roccia (www.archeosa.beniculturali.it/?center=sito&id_sito=3).
Non lontano un viadotto tra due colli è di origine greca: l’arco che lo regge, la Porta Rosa, è probabilmente il più antico manufatto in cui l’architettura magnogreca utilizza l’”a tutto sesto”.
E infine più su, dove ci fu l’acropoli greco-romana, una potente torre (foto) e una chiesa medievale narrano del dominio degli Angioini alla metà del Duecento.