– Dalle campagne al Delta: tutta la varietà della cucina di Rovigo e delle sue terre

– di Antonio Trentin –

Un suolo ricco e un’insediamento sociale che sono la quintessenza della ruralità in Val Padana. Il Po e l’Adige che la attraversano, facendo fertile la pianura più piatta che ci sia. In fondo a tutto il Delta, un’unicità nazionale in cui la campagna si mescola alle acque. E ultimo l’Adriatico, che accoglie i due più grandi fiumi della penisola e che si insinua nelle “sacche”, quasi rompendo i confini tra mare e terra. La provincia di Rovigo è questa, perfetta per l’elaborazione secolare di una cucina ricca e variata, marchiata da tre elementi più caratterizzanti del resto: il maiale, il pesce e la polenta che fa da trait-d’union nei menù.

Prima di tutto, il Re Maiale.

La “cultura del maiale” scrive nel Rodigino alcune delle sue pagine nazionali migliori, sfidando le tradizionali eccellenze emiliane che stanno appena al di là del Grande Fiume e che da sempre scambiano modi di produzione e capacità d’innovazione rispettosa della tradizioni.

Quindi: salami stagionati e bòndola, che qui nel Polèsine arrotonda le sue forme – dentro la vescica del maiale da mettere a stagionare almeno per quattro mesi – aggiungendo obbligatoriamente anche il vino rosso agli abituali ingredienti veneti (buone carni suine, grasso morbido in percentuale ben calibrata, aglio, sale e pepe).

Le delizie dai campi e dall’aia.

Dalle memorie delle grandi aie di un tempo (come nel caso del coniglio alle erbe selvatiche o della faraona in técia) arrivano nella gastronomia rodigina le ricette con l’oca: al forno, “in umido” con verdure e vino rosso o eccezionalmente allo spiedo.

Ma è l’oca in onto a fare da particolarità assoluta per i tempi odierni, che nulla più sanno dei modi e dei ritmi della cucina di una volta, quando il ricco pennuto macellato a San Martino (vero e proprio “maiale dei poveri”) finiva in vaso dentro il suo grasso, conservabile per i mesi in cui le carni fresche non c’erano più. Gemella del confit d’oie francese, l’oca in onto veneta è un Presidio Slowfood a conferma dell’importante valore tradizionale che riveste.

Tra i prodotti orticoli che alleggeriscono e colorano la tavola rodigina sono da cercare, l’insalata di Lusia Igp e il radicchio rosso di Chioggia Igp, le patate americane della zona di Adria e il melone del Delta polesano.

Il Delta: polenta, volatili e meraviglie ittiche.

Bisogna però arrivare tra i rami del Po per trovare il meglio dei prodotti tipici rodigini. Nella minestra di fagioli alla veneta si calano le rigaglie del magasso, un’anitra del Po, e con i fagioli vanno in umido anche le fòlagheCon il riso del Delta Igp si accompagnano in risotto la zucca polesana di Melara o la fòlaga delle acque al confine tra dolce e salso o il cefalo, il branzino e l’anguilla delle valli del Delta.

Quest’ultima “muore” alla perfezione – accanto all’onnipresente polenta versata gialla o bianca sulla panara in varie sagre paesane – anche nelle versione bisato su l’ara. L’ara era la pietra del focolare su cui l’anguilla cuoceva sgrassandosi e oggi si può usare la pietra refrattaria o almeno una padella bucherellata.

Citato il pesce, tocca ai molluschi, i peoci e le pevarasse da aromatizzare con l’aglio bianco polesano Dop: le cooperative del Delta consorziate con quelle del Polesine sono tra le più grandi realtà europee del settore, con oltre 1400 soci e 500 imbarcazioni che imperniano l’attività sulla Sacca di Scardovari, massimo bacino di coltivazione di cozze e vongole veraci.

La melassa dai campi di barbabietole.

Il dolce più tipico della provincia è la smegiassa o miassa che ha nel nome il ricordo (non più l’ingrediente, salvo fortunate e rarissime eccezioni) della melassa sciropposa ricavata dalle barbabietole negli zuccherifici polesani, alla quale si mescolavano farina bianca e di mais, zucca, uova, strutto e frutta secca e candita.

Con due semicupoline di buona pasta frolla intinta nell’alchermes e tenute insieme da marmellata di ciliegie si confezionano i pèrseghi rossi. La pagnota del Doge – variante polesana delle torte venete rinascimentali – si cuoce come la si faceva per i banchetti di Silvestro e Bertuccio Valier che avevano proprietà nelle paludi bonificate a Villadose (Vila del Dòse), mescolando farina, miele, fichi, burro, uova e noci. A Adria s’inforna per l’Epifania la bissola di pasta frolla a forma di gibbuta Befana o di asinello, decorata con cioccolata nera o bianca per marcare i tratti fisiognomici dei due personaggi. Gemello del biscotto lagunare veneziano è l’esse cosparso di granella di zucchero.