– di Antonio Trentin –
Cinque secoli e mezzo fa Crema era il Far West della Repubblica di Venezia. Era entrata a far parte dello Stato da Tera nel 1449, senza neanche passare per una delle guerricciole del tempo. Finita la breve dinastia dei Visconti, il Milanesato era in quel momento un regime aristocratico, l’Aurea Repubblica Ambrosiana, e per recuperare autonomia e privilegi territoriali e commerciali, la città aveva proclamato la sua dedizione alla Serenissima in espansione.
Tra i Domini di Terraferma il Cremasco era il più lontano dalla Laguna: una quasi-exclave territoriale all’estremo ovest, appunto, unita alla Bergamasca (pure veneziana) solo da uno stradone protetto dallo Steccato che gli dava il nome.
Tutto intorno aveva, e avrebbe avuto per più di tre secoli, i territori del Ducato di Milano governati in sequenza dagli Sforza, dai francesi, dagli spagnoli e dagli austriaci. Fino all’arrivo di Napoleone e alla caduta della Repubblica di San Marco nel 1797.
Crema conserva segni importanti del suo passato veneziano e rinnova ogni anno un Carnevale di inconsueta durata (anche quest’anno nelle quattro domeniche da metà febbraio ai primi di marzo) e vissuto con grande partecipazione popolare che riprende l’antica eredità serenissima (www.carnevaledicrema.it).
E naturalmente le memorie carnevalesche veneziane non mancano: la più raccontata in città è quella di una lettera che nel 1661 riconobbe al podestà, di nomina dogale, di avere finalmente gestito un Carnevale… senza incidenti mortali, ammazzamenti, duelli e coltellate.
I tratti di Mura venete (fine del XV secolo) sbucano da tante parti del moderno tessuto urbano, correndo dall’uno all’altro dei torrioni.
Il più amato dai cremaschi, il Torriòn di Porta Serio, appare quasi intatto accanto all’ingresso monumentale in città da est, costruito sotto il Regno Lombardo-Veneto nel 1807 e ornato di statue settecentesche dei bassanesi Orazio e Francesco Marinali provenienti da palazzi della decaduta nobiltà veneziana.
Il Liòn de San Marco accoglie chi entra nella piazza del Duomo passando per l’arco del Palazzo Comunale sovrastato dal Torrazzo. Il palazzo è rinascimentale e le belle logge verso il sagrato sono tipicamente venete. Il Torrazzo – che dà il nome a manifestazioni varie, hotel, bar, agenzie e al settimanale della diocesi cremasca (esattamente corrispondente per territorio all’antico possedimento veneziano) – fu completato alla metà del Cinquecento: la campana nell’alta lanterna da più di quattro secoli chiama alle riunioni del consiglio comunale.
Ad angolo con il municipio, il Palazzo Pretorio – aggiornato in forme cinquecentesche – fu la sede del podestà rappresentante di Venezia. Sulla torre risalente al Duecento, ecco un altro leone marciano: le lapidi raccontano la sua installazione (1558) al ritorno del governo dogale dopo una guerra con i francesi e il ripristino nel 1881, in tempo di Regno d’Italia, 84 anni dopo l’abbattimento da parte delle truppe napoleoniche.
Il centro storico di Crema (www.prolococrema.it) è caratterizzato dall’imponenza di diversi palazzi di ricche famiglie che tra il Sei e il Settecento prosperarono sull’abbondanza agraria e sui commerci con le città lombarde e venete.
Tra i più interessanti il Premoli, esempio tipico del Barocchetto lombardo, il Vimercati Sanseverino e il Bondenti Terni de Gregory, tutto in mattone a vista, lasciato incompiuto nel 1731.
Di fronte a quest’ultimo, il vasto ex-convento degli Agostiniani è oggi il Museo civico cremasco (www.museocrema.it).
Oltre alla pinacoteca e alle sale archeologiche, vanno viste quattro curiosità molto specifiche,
La prima è il grande refettorio dei frati, affrescato all’inizio del Rinascimento con storie della Bibbia, un’Ultima Cena e una Crocifissione.
Nella parte museale, le altre tre presentate nelle diverse sezioni, sono il riallestimento con criterio etnografico di una casa padronale rurale di fine Ottocento; le sale inaugurate nel 2015 dedicate dell’arte organaria, che ha avuto a Crema fabbriche di importanza internazionale; e le quattro piroghe medievali scavate in tronchi di castagno (su tredici ritrovate tra i fiumi Adda, Oglio e Po: le altre sono in restauro conservativo) con le quali si percorre la storia dei commerci fluviali dell’area centropadana tra l’VIII e il XII secolo.
Quanto agli edifici religiosi, il Duomo – fronteggiato dalla lunga loggia comunale – è naturalmente il clou del centro storico.
Da osservare in particolare le splendide bifore della facciata in terracotta; gli elementi decorativi, legati alla simbologia medievale (i pentàcoli, i tralci di vite, i cerchi dei sette pianeti allora conosciuti, una scacchiera romboidale); e i volti di ecclesiastici e laici che affiancano l’Agnello dell’Apocalisse sul portale d’ingresso.
Ma la chiesa più interessante di Crema sta fuori, a un chilometro e mezzo dalle mura, sulla strada per Bergamo.
Il santuario di Santa Maria della Croce – splendido all’esterno e decoratissimo all’interno – fu costruito alla fine del Quattrocento sul luogo di una storia di femminicidio e di miracolo.
Secondo la tradizione religiosa, Caterina degli Uberti, nel 1490, ebbe la mano destra mozzata dal marito che pretendeva la dote. Mentre moriva dissanguata, chiese e ottenne dalla Madonna di durare in vita fino alla confessione e alla comunione. Un mese dopo sul luogo fu trovata una Santa Croce e iniziarono da allora i fatti miracolosi.