– di Antonio Trentin –
C’è una meta diversa dal solito da cercare nella Bassa Padovana ai confini con Rovigo, zona abitualmente tagliata via di corsa sull’A13 pensando che ci sia poco o nulla da vedere. Si tratta delle terre tra Stroppare di Pozzonovo – dove i canali Sabadina e Gorzone, e l’Adige ai suoi ultimi chilometri prima del mare, trasportano acque più alte della campagna che tutt’intorno irrigano – e Anguillara Veneta, capitale della patata americana.
I TERRENI DEL SANTO. Qui la “patata mèrica” ha la più alta densità di coltivazione di tutto il Veneto e di tutta Italia, nei campi che sette secoli fa appartennero ai Carraresi signori padovani, prima di passare tra i beni della basilica di Sant’Antonio. E Arca del Santo – come l’ente sorto alla fine del Trecento per mantenere e abbellire il santuario padovano – si chiama la grande villa del 1660 che marca il paesaggio rurale anguillarese. Quest’ultimo è fatto di fertili argille rosse, frutto delle lunghe bonifiche andate avanti dai secoli dei primi frati fino allo scavo del Tajo del Gorzòn – che nel 1557 regimentò i flussi delle acque – e poi fino all’Ottocento, quando le idrovore a vapore risolsero i problemi idraulici delle terre basse.
La patata americana (più precisamente: la batata) vi s’ingrossa splendidamente e redditiziamente. A metà ottobre, oltre che essere esposta e venduta per iniziativa dell’associazione tra i produttori, sarà l’elemento-base dei menù nei ristoranti della zona in occasione della Festa della Patata americana.
La “ipomoea batatas” – arrivata in Italia con questo nome scientifico nel 1630 grazie al granduca di Toscana Filippo II, ma uscita dagli orti botanici solo nell’Ottocento – sarà in tavola come ingrediente di krapfen salati, nel risotto, negli agnolotti, nel purè, in sorbetto con l’arancia e in composta col mascarpone, e farcirà pure le praline di cioccolato.
IL PARCO VALCORBA. Sulla strada per Stroppare un parco zoologico, su venti ettari di terra, supera l’antica idea degli zoo “ingabbiati”.
L’ha voluto Andrea Mazzonetto, che la scuola da appassionato di animali e natura l’aveva fatta, a suo tempo, nel vecchio parco di monte Lonzina, sui vicini Colli Euganei, ai tempi in cui i capi da mettere in mostra arrivavano più o meno clandestinamente da acquisti fatti in giro per il mondo e restavano a vivere spesso in pochi metri quadrati sul cemento. Lui ha scelto la campagna di Valcorba, l’ha ridisegnata a colpi di ruspa, ha abbondato in alberi e siepi. Risultato: un piccolo ma interessante Parco faunistico che fa incontrare ai visitatori – a passeggio in un vasto giardino – più di duecento animali di una settantina di specie diverse (www.parcovalcorba.it).
In spazi ecologicamente equilibrati, contro i quali è difficile levare lamentazioni animalistiche, ci sono tutti o quasi gli ospiti che bambini e famiglie vogliono incontrare: il leopardo e la pantera nera, il leone e la leonessa, la zebra e il cammello, il canguro, gli ippopotami, la tigre siberiana, la triade dei grandi uccelli corridori dell’emisfero australe struzzo – emù – nandù; e poi i lemuri, le antilopi, il lama, l’istrice, i marabù, i fenicotteri, le cicogne, gli ibis, le tartarughe… Tra gli ultimi arrivi – grazie a uno scambio tra zoo di animali nati in cattività (come lo sono tutti, questi di Valcorba) – anche le giraffe.
UN RICETTARIO IN VILLA. Appena fuori dal parco-zoo si torna a trovare la patata americana: nei campi tutt’intorno e nelle memorie dell’aristocrazia terriera che un secolo e mezzo fa la rese importante coltura e fondamentale risorsa economica del territorio.
La bella villa Duse Masin – preceduta dalla vasta aia per la battitura delle granaglie – è visitabile per conoscere gli antichi metodi di conduzione agraria del Basso Veneto (www.villavalcorba.it) e in particolare la storia della batata. Gli archivi della famiglia padronale conservano ricettari con gustosi utilizzi del tubero come base per sformati (con patate normali e funghi pioppini), gnocchi e torte (schiacciato e mescolato alla farina) e pasticcini (con sciroppo di zucchero, cacao e rum).
IL FRIULARO DI GOLDONI. Un’altra villa interessante in questo sud-est padovano è il Dominio di Bagnoli, in terreni che ebbero verso il Mille la presenza come bonificatori e coltivatori dei Benedettini e che passarono in proprietà del papale Patrimonio di San Pietro. Lo Stato Pontificio vendette il possedimento alla famiglia Widmann nel 1656. Furono i conti veneziani di origine carinziana a erigere l’edificio che ospitò anche Carlo Goldoni: il commediografo ricambiò in poesia, scrivendo un ditirambo sulla bontà del rosso Friularo, nettare delle vigne di Bagnoli e dintorni.
Oggi proprietà della famiglia Borletti, il Dominio (www.ildominiodibagnoli.it) offre un esempio perfetto di villa della civiltà rurale veneta, con la residenza disegnata da Baldassarre Longhena e il giardino impreziosito da statue di Antonio Bonazza, le cantine vecchie come il monastero benedettino, le antiche “boarie” dove si allevano duemila bovini del Charolais, le corti dove ruspano le galline di razza autoctona Padovana e Polverara, e il “brolo grando” dove crescono trenta diversi vitigni.