– di Antonio Trentin –
Sfiorati da una delle più frequentate vie del turismo dolomitico, quella che porta a San Martino di Castrozza e al Passo Rolle, e coronati da uno dei più emozionanti paesaggi delle Dolomiti, i paesi del Primiero nascondono un paio di rari gioielli storico-etnografici: le architetture spontanee d’un tempo, in legno e pietra, particolarmente concentrate e ben conservate a Mezzano; e gli antichi dipinti murali a tema sacro, che decorano le vecchie case soprattutto a Sirór.
Un’occasione buona per andare a vederli – sfidando l’affollamento della gran festa per il ritorno a valle delle mandrie – è in calendario ogni anno nell’ultimo fine settimana di settembre. I giorni sono quelli della Desmontegada: con i primi freddi vacche da latte, manze, vitelli e cavalli ritornano nelle stalle dopo che per loro è finito il lungo periodo – oltre tre mesi – dell’alpeggio trascorso nelle malghe di alta quota, tra i pascoli ricchi di erbe profumate.
Con il coinvolgimento anche di Imér, Tonadico, Transacqua e Fiera, è ogni volta l’intero Primiero a mobilitarsi con la sua arte casearia (a cominciare dalla “tosèla”), l’artigianato del legno e dei tessuti, la gastronomia e la musica folk (www.sanmartino.com/IT/desmontegada-primiero/). E anche con una punta di lontana nostalgia filoasburgica, espressa dalla Schützenkompagnie Primör che sfila in costume sudtirolese.
Ma torniamo all’appuntamento con arte e architettura popolare.
Mezzano romantica
Porta il vanto di essere, dal 2010, uno dei “Borghi più belli d’Italia” e si presenta ai visitatori con un’esplicita identità “romantica”, chiamandoli a cercare da un punto all’altro del suo piccolo mondo i “segni sparsi del rurale”: Mezzano è così, forte di una personalità ben caratterizzata e valorizzata. Non porta via né tanti passi né tanto tempo, girare il paese. Ma certe piccole emozioni sono davvero intense.
Tetti sporgenti sulle strette stradine, lunghi balconi di legno che servivano a preparare i prodotti da conservare per l’inverno, sporti costruiti con vecchi pali e assi che fanno quasi toccare le vecchie case tra loro, percorsi selciati lungo i quali si aprono scorci sui campi verso la valle e sui prati degli alpeggi: un microcosmo da scenografia cinematografica salvatosi quasi miracolosamente dalla modernità edilizia, dentro al quale si fatica un po’ a perdonare l’impatto del contemporaneissimo centro civico (che pugno nell’occhio è… ma almeno un gran bel pugno quanto a forma architettonica).
Da cercare sono le vecchie fontane, che un tempo servivano per l’acqua di casa e per le bestie in stalla, e che erano la “lissiéra” dove le donne andavano a lavare e spettegolare. Sono ancora alimentate da ben percorribili “stolli” – stesso nome tedesco delle gallerie in miniera – che captano le vene sgorganti dal monte sovrastante per condurle nelle deliziose piazzette, dove il gorgoglio delle acque si mescolava con il battere degli zoccoli sul “salesà” di pietre (www.mezzanoromantica.it).
Cataste d’arte e vecchi telai
Reinterpretando in chiave artistica la consuetudine delle cataste di legna preparate fuori dalle porte di casa prima che arrivasse l’inverno, Mezzano ha messo al lavoro un gruppo di paesani con la passione del bello chiamandoli a fare di questi “canzèi” un’occasione artistica. Come ogni sottoscala e ogni poggiolo delle case ben rivolto al sole ha il suo “canzèl” destinato ad alimentare “stue” per scaldare e “spolèr” per cuocere, così Mezzano artistica ha i suoi “canzèì d’autore” che alimentano la bellezza del luogo. Sono un paio di dozzine di installazioni che sbucano dietro un angolo o in cima a una salitina, ogni volta sorprendendo: i ciocchi tagliati nel buon legno dei boschi disegnano un volto, una fisarmonica, un sogno di bimbo, i paesaggi della valle, il sole, la luna e il tempo che passa.
Un “canzèl” artistico in forma di “navesèla” (la navetta tessile in dialetto del Primiero) ricorda ai passanti che a Mezzano lavorano – e si possono visitare – i telai artigianali di Artelèr, unici nel Trentino e in Italia a produrre antichi damaschi popolari secondo una tecnica segreta e inimitata, tramandata da sette generazioni.
Gli affreschi di Sirór
Spostandosi più su nella valle, le pitture votive di chi un tempo fu paesano benestante e devoto spiccano nelle viuzze di impianto medievale di Sirór, dove solo qualche casa moderna stona tra quelle con i vecchi intonaci e dove “tabiadi” e “pioli” per la conservazione di fieno e legna movimentano gli scorci.
Gli affreschi testimoniano una tradizione che era diffusa anche nella vicina valle del Vanoi, nella Val di Fiemme al di là del Lagorai, nel Trentino e nel Bellunese, nel solco della tradizione artistico-religiosa di tutta l’area alpina rimasta cattolica dopo la Riforma protestante.
Quella dei dipinti sulle case “primierote” è arte popolare, non particolarmente preziosa come qualità, anche se qualche sconosciuta mano dimostra abile capacità tecnica e compositiva, imparata da lontane lezioni pittoriche in arrivo da Venezia o dal Tirolo. Risale al ’400, quando la valle era una ricca zona estrattiva e nel Palazzo delle Miniere presso la Pieve di Fiera sedeva il Bergrichter, giudice minerario di nomina imperiale. Prosegue fino al ’5-600 e ha ispirato un gusto decorativo che continua fino agli anni contemporanei.
Quali sono i soggetti dovuti alla pia generosità dei ricchi gestori di miniere o degli abili commercianti di legname, padroni di belle case solide, e alla mano di ignoti frescanti itineranti, che stavano a pensione dai committenti finché l’affresco era completato? I patroni locali da cui prendevano nome il committente, la consorte o i loro figli; la Madonna e i santi venerati come protettori contro malattie e pericoli sempre incombenti; le Crocifissioni costruite sulla narrazione evangelica e sul “catalogo” degli strumenti della Passione di Cristo. Una tradizione ripresa in forme moderne dall’artista trentino Riccardo Schweizer che ha lasciato a Sirór uno dei suoi più grandi e importanti “murali”.