– di Antonio Trentin –
Ci sono luoghi in Europa dove i confini della storia non sono stati mai muri, ma ponti. Succede dove la sequenza delle dominazioni politiche e delle prevalenze culturali – dovute alle armi, alle lingue o alle religioni – si è sempre misurata nei secoli con la permeabilità della geografia e con le consonanze dei modi di vita. È spesso successo, questo, anche quando – proprio come nel caso di Gorizia – certi muri sono rimasti per decenni muri veri e non figurati; certi ponti sono parsi abbattuti per sempre; certe frontiere destinate all’invalicabilità.
A far scorrere e a miscelare la vicinanza tra le genti è stato sempre, e prima di ogni altra cosa, il primordiale lubrificante delle civiltà: il gusto. Per le cose belle da avere. Per le cose utili da trovare. Per le cose buone da scambiare e apprezzare stando bene insieme. E di buon gusto e gusti buoni la terra isontina, e le terre sue vicine, da sempre ne hanno tanti da far conoscere e godere.
Lo star bene a tavola transfrontaliero è preziosa eredità di un passato di vicinanza (anche ai fornelli) delle terre giuliane con Venezia antica Dominante dei porti altoadriatici e con il Veneto della Serenissima Repubblica, da una parte; dall’altra con la Carniola asburgica diventata Slovenia e con la Croazia istriano-dalmata attraverso la quale si proiettava sull’Adriatico la grandezza del regno dei Magiari; e, oltre i monti a nord, anche con il mondo austriaco.
In quest’area dove si intersecano tre culture e tre lingue, nella cucina di Gorizia è diventata perfetta l’interazione delle tradizioni gastronomiche del Nordest latino, della Slavia del sud e della Mitteleuropa imperiale di cultura tedesca.
I monti boscosi della Slovenia e lo scabro entroterra croato ampliano gli ambienti così caratteristici delle valli prealpine giuliane e del Carso, condividendo materie prime rurali e vitigni pregiati. Le cucine montane delle Alpi scendono a incontrarsi con quelle delle italiche pianure orientali, incrociando ingredienti e segreti in cottura. Le lagune costiere del Friuli-Venezia Giulia e le coste bi-nazionali dell’Istria sono i luoghi di incontro della similarità ittico-culinaria che unifica le sponde dell’Adriatico.
Che cosa cercare come tracce dell’unitarietà del territorio che si intreccia nella varietà dei menù della cucina di Gorizia? Le zuppe belle dense e arricchite con carni affumicate, il pescato fresco messo in brodeto, la grande cacciagione accompagnata da ricche salse, il maiale trionfante ovunque, le patate preparate in mille maniere e i dolci ben elaborati anche quando popolari, secondo l’eredità trasmessa dalla cucina di corte degli Asburgo. Ma il gusto della contaminazione saporita percorre un po’ tutto il gran libro delle ricette goriziane e del Carso italo-sloveno. Basta cercarlo: lo si trova e lo si apprezza.
Vediamo qualche dettaglio con il quale la cucina di Gorizia ben soddisfa i palati accostando preparazioni comuni a tutta l’area giuliana e isontina, che molto risentono della gastronomia oltreconfinaria, con alcune specificità zonali e con piatti caratteristici della cucina slovena e istriana.
In avvio di menù mostrano bene il senso della contaminazione etno-culinaria gli žlikrofi chiusi a cappellucccio e ripieni di patata e pancetta o i blecs impastati col grano saraceno e conditi con ricotta affumicata. E la jota soprattutto: per confezionarla servono crauti, pancetta, fagioli e patate, ma è bene metterci pure una bracioletta o qualche costina e magari una salsiccia, tanto per non risparmiare sulle calorie.
Decisamente col timbro della Mitteleuropa vanno in tavola gnochi de pan e gnochi de susini, questi ultimi buoni come primo e come dessert, con il loro frutto nascosto e il profumo di cannella. Dai libri di cucina istriani escono le ricette delle strazade co ‘l sugo de galo (maltagliati al ragù di pollastro), della sopa de pantalene (in cui le umili patelle si aprivano in tegame per il magro pasto dei pescatori, che il meglio del mare lo vendevano nei mercati) e del risoto pilao arrivato dall’Oriente ripetendo il nome del pilaw turco.
Poi vengono, tra i piatti tipicissimi della cucina di Gorizia, il gulasch e il pršut cotto al forno, servito caldo con il hren, – il rafano, in sloveno, che diventa cren nel lessico gastronomico del Nordest – oltre a tutte le altre cotture del suino, spesso conciato e affumicato. Come la sarma coi capuzi che involtola nella verza il maiale macinato e gli aromi arrivati dai Balcani o la polenta nera mescolata di carne suina, sangue raccolto alla macellazione e interiora.
Il finale dolce è decisamente ai sapori della vecchio impero che fino a un secolo fa unificava il territorio e con esso l’intera cucina di Gorizia.
C’è, venuta dalla valle del Natisone, la gubana, in cui l’abbondante pasta lievitata si gonfia a chiudersi in spirale, pronta ad assorbire un bicchierino di slivovitz di prugne. C’è lo strudel con ripieno di mele.
E ci sono i dolci farciti di frutta secca, più ce n’è meglio è, dalle noci, nocciole e mandorle ai pinoli, uvetta e canditi: gli struchi di pasta lievitata, il prèstnitz, la putizza di pasta sfoglia arrotolata.
La zona è buona anche per vini dal forte carattere, specie i bianchi, tra i migliori d’Italia.
Il Carso isontino ha davanti le alture del Collio goriziano che si prolunga e si amplia nel Collio sloveno. Tutte aree collinari a secolare vocazione vitivinicola – molto diverse tra loro per questione di suoli – che hanno fama e successo in cantina.
Sparsi tra le doline carsiche, i vigneti del Terrano color rubino crescono sui campi rossi e ferrosi, spazzati dalla bora che asciuga e inasprisce. Tra i bianchi carsolini la Vitovska ha nome sloveno e antica discendenza autoctona e la Malvasia istriana, buona con il pesce catturato al largo di Monfalcone, sui canali del Lisèrt o nella laguna di Grado, regge bene anche accanto alle jote fumanti nei piatti.
Sul Collio è un trionfo di vini da primato, le cui botti e bottiglie viaggiarono con successo verso tutte le corti dell’Europa Centrale: Pinot grigio e bianco, Sauvignon, Chardonnay e la raffinata Ribolla gialla, accanto ai quali non sfigurano Merlot, Refosco e Cabernet. La Malvasia è il bianco autoctono più apprezzato nella zona settentrionale del Litorale e nell’Istria; mentre il Pinot grigio è diventato il vino più popolare di tutta la Croazia. Nella parte di Slovenia più prossima al mare, il Primorje, tra i rossi primeggia ancora il Terrano. Per il fine pasto, due bianchi nei cui nomi si celebrano il bilinguismo enologico e le caratteristiche transfrontaliere del territorio: il Pikolìt e la Rebula.