Andrea Palladio. Il mistero del volto: il Cisa-Centro internazionale di studi di architettura di Vicenza ha allestito nel suo Palladio Museum, in uno dei palazzi progettati dal grande maestro cinquecentesco in contrà Porti, una mostra di inconsueto impianto, impostata tutta sulle ipotesi di veridicità-verosimiglianza delle rappresentazioni che di lui tramandano l’aspetto.
Di Andrea di Pietro della Gondola, forse il più conosciuto architetto degli ultimi cinque secoli, non esiste un ritratto contemporaneo. O meglio, si sa da Vasari – come racconta spiegando la mostra Guido Beltramini, direttore del Cisa – che ne sono esistiti almeno due: un primo, ad opera del pittore veronese Orlando Flacco, e un secondo, attribuito a Tintoretto, che compare in un inventario del 1599. Di entrambi però si sono perse le tracce.
Per questo gli inglesi nel Settecento, suoi riscopritori e diffusori, si sono inventati un aspetto di Palladio. Compare all’inizio della prima traduzione in inglese dei Quattro Libri dell’Architettura, realizzata a Londra dall’italiano espatriato Giacomo Leoni fra il 1715 e il 1720. Ma il Palladio “inglese” compare vestito alla moda del Settecento e, nonostante Leoni dichiari l’incisione basata su un ritratto di Paolo Veronese, è chiaramente un’invenzione.
Pochi anni più tardi, gli italiani rispondono con un ritratto diverso, pubblicato sulla guida al Teatro Olimpico del 1733. L’autore dice di averlo copiato da un ritratto presente alla Rotonda, ma è il ritratto giusto? Non lo sappiamo perché l’originale fino ad oggi era introvabile.
Ma allora, la faccia di Palladio che siamo abituati a vedere è vera o falsa? Per la prima volta la mostra Andrea Palladio. Il mistero del volto tenta di ricostruire tutta la complicata storia di una accanita ricerca scientifica che si snoda lungo cinque secoli fra dipinti falsificati, equivoci e cantonate. E non mancano colpi di scena, alla luce di nuove scoperte negli Stati Uniti e in Russia.
La mostra sarà visitabile al Palladio Museum di Vicenza fino al 4 giugno 2017, aperta dal martedì alla domenica in orario 10-18.
Lo stesso trattato di Palladio da questo punto di vista costituisce un’eccezione: mentre dilaga fra i suoi contemporanei la moda di effigiarsi nelle proprie pubblicazioni – come nei trattati di Saraina, Philandrier, Vignola e Scamozzi – nei Quattro Libri ci sono solo le architetture. Questa assenza diventa improvvisamente un tema centrale nel Settecento. Che volto aveva il grande Palladio?
La riedizione di pregio dei Quattro Libri stampata a Londra da Leoni non poteva certo privarsi del ritratto del suo autore e per l’occasione viene realizzata quella che forse è la più nota immagine dell’architetto: un falso, costruito da Bernard Picart, quasi certamente con la complicità del veneziano Sebastiano Ricci, autore del frontespizio per la medesima opera, e spacciato per la copia di un ignoto ritratto di Veronese.
La posa e l’abito tradiscono il gusto spiccatamente settecentesco dell’effigie, che tuttavia ha grande successo e conosce in breve un considerevole numero di repliche. Fra queste l’enigmatico ritratto eseguito da un ignoto pittore inglese del XVIII secolo, oggi conservato al Palladio Museum, il cui restauro e le cui indagini stanno rivelando sorprese inaspettate: sotto le ridipinture, infatti, riaffiorano tracce di pentimenti e di un’originaria cornice ovale, la stessa dell’incisione di Picart. Sul retro un cartiglio, in parte abraso, offre alcune informazioni sul dipinto, ma la provenienza, il committente e la sua originaria collocazione si perdono nel buio.
Quanto al ritratto a stampa di Ricci/Picart, John Shearman, il più importante storico dell’arte inglese del dopoguerra, avanza l’ipotesi che sia in realtà derivato da un altro dipinto enigmatico: il Ritratto di Architetto di Bernardino Licinio (prestato dalla Royal Collection di Londra) appartenuto al console inglese a Venezia Joseph Smith. Il dipinto, che raffigura un uomo ventitreenne riccamente vestito e ornato con tre preziosi anelli, porta la firma dell’artista (B. Lycinii opus), l’età dell’effigiato e la data 1541 (a. annor. XXIII / MDXLI); ma una mano ignota vi appone la scritta Andreas Paladio, aprendo un nuovo caso e scatenando un secondo filone di repliche. Altrettanto interessanti le indagini, che mettono in luce forse un pentimento sul volto e una pesante ridipintura su un braccio e sulla veste, documentata da una stampa di Pietro Monaco del 1762.
Il dilagare del ritratto di Palladio non lascia certo impassibili i vicentini, i quali hanno sott’occhio altri ritratti dell’architetto. Non si fa attendere la replica di Mariotti/Zucchi, che pubblicano nel 1733, a corredo nel Del Teatro Olimpico di Andrea Palladio di Giovanni Montenari, un ritratto desunto da un dipinto esistente in casa dei marchesi Capra.
Un ritratto di Palladio a Vicenza effettivamente è noto, ed è oggi a villa Valmarana, ma un secondo ritratto, di cui al momento non conosciamo quasi nulla, sembra promettere nuove sorprendenti scoperte.
Si tratta di un dipinto conservato in una collezione privata di Mosca, appartenuto a uno dei più eccentrici architetti del primo Novecento, Ivan Vladislavovič Žoltovskij, artefice di una forma di neo-palladianesimo in Russia e autore di una traduzione dei Quattro Libri.
Il dipinto, che sembra rivelarsi un originale del tardo Cinquecento, porta le tracce di un pentimento (un braccio, poi cancellato) e di una scritta, Andreas Palladius.
Straordinariamente simile al dipinto Valmarana, da cui sarà affiancato per la prima volta in questa mostra, potrebbe esserne il prototipo o, perlomeno, provenire da un disegno comune. A mistero si aggiunge mistero: nel ritratto Valmarana Palladio regge un cartiglio con la data 1576, ma le indagini di laboratorio rivelano sotto la scritta la presenza di un disegno, forse il prospetto di una villa, al momento non identificata.
Comunque sia, a partire dalla riscoperta del ritratto in casa dei marchesi Capra, l’immagine del Palladio vicentino si ripete e si moltiplica, consolidandosi nell’Ottocento in una fisionomia ben precisa. Questa viene immortalata nei vari Pantheon dei capoluoghi veneti e scolpita nei monumenti all’architetto nel Cimitero Monumentale vicentino e nella piazzetta intitolatagli accanto alla Basilica.
Ma il volto di Palladio è spesso un volto immaginato, sulla base di suggestioni: è il volto intravisto – e poi smentito – nei vari ritratti di Bassano, El Greco e Sansovino ed è il teschio riconosciuto, fra i diciotto, per forma e per dimensioni, al momento dell’apertura della sepoltura in Santa Corona.
E se volutamente Palladio non ci avesse lasciato un’immagine del proprio volto, affidando ad altri mezzi la memoria di sé?
Info: http://www.palladiomuseum.org/exhibitions/volto