di Antonio Trentin
Ci fu un tempo – e da qualche monarchica parte del mondo persiste – la vita di Corte, vissuta da sovrani e grandi dame, ciambellani e maggiordomi, paggetti e cameriere. E ci fu, per milioni e milioni di sudditi sparsi nei reami e nei secoli, la vita nelle “corti” – quelle ampie e operose delle campagne e quelle chiuse e affollate dei borghi – durata fino a pochi decenni fa.
La corte (in minuscolo) come microcosmo in cui orbitavano le relazioni interpersonali tra genti umili e le fatiche della convivenza: trovarsi, giocare, spettegolare, far affari, questionare e litigare in corte. Portarvi le gioie e le disgrazie delle famiglie. Lavorarvi. Vivevano così i contadi e i paesi, con qualche replica nei quartieri delle città meno affollate di case, dove le corti si riducevano a cortili e concentravano in spazi ristretti le dinamiche psicologiche e sociali dei residenti.
Le corti più corti, naturalmente, erano quelle delle grandi fattorie che organizzavano il mondo rurale e lo sfruttamento delle territorio agricolo: unità produttive autosufficienti e “mondi unici”, tutti simili ma ciascuno fatto a modo suo, animati e agitati dalle pulsioni e dalle passioni.
Dalle approfondite e intelligenti analisi sulla realtà agricola nei primi decenni del Novecento che il veronese Dino Coltro firmò tra gli anni ’70 e ’90 – in una serie di libri diventati un’enciplopedia della vita rurale veneta – ha distillato ispirazione, temi e gusto narrativo la docente noventana Ilia Sillo.
Già cimentatasi negli anni scorsi con le memorie del dialetto (“Parlar s-ceto” del 2013) e con i modi di dire del Basso Vicentino(”Incalmà coi ochi” del 2016), racconta in “La corte” (Cierre edizioni, 123 pagine) l”anno contadino nella campagna veneta”. Lo fa scandendo il calendario secondo le feste dei Santi principali e a partire dal mese di novembre, quando si tiravano i conti dell’annata , scadevano i contratti dei fittavoli e, spesso, le famiglie “facevano Sanmartìn” cambiando podere e prospettive economiche.
La Sillo ritrova – nei libri e nella propria memoria – usi, riti, parole e personaggi dell’ormai lontana vita rurale cancellata dalla modernità: maritare le figliole se i campi avevano fruttato la dote; attaccare alla porta il credutissimo “lunario novo”, “El Pojana”, per ricavarne pronostici e profezie; “copare e far su el mas-cio” preparandosi alla “gandega” finale; friggere i crostoli a Carnevale e dimenticare la carne in Quaresima; mangiare la bondiola all’Ascensione; girare benedicendo i campi nelle Rogazioni in maggio; cercare “San Piero in barca” nell’albume messo in bottiglia nella notte del santo a fine giugno; partire a piedi per il santuario di Monte Berico e la Festa dei Oto in Campo Marzo.
Un ritmo ciclico rigoroso – basato sulle urgenze lavorative stagionali e cadenzato dalle ricorrenze dei patroni – regolava tutta la vita in campagna e su di esso si adattavano i tempi del vivere comune. Ilia Sillo narra la storia piccola della famiglia sua, ma le veloci pagine de “La corte” sono un po’ la Storia intera delle genti rurali di tutto il Vicentino e il Veneto.