– di Antonio Trentin –
Più di cnquant’anni fa, in un angolo di Trentino non lontano dalle Dolomiti di Brenta e dalla punta nord del lago di Garda, un altro specchio d’acqua, ma minuscolo e incastonato per pochi metri tra i campi, testimoniava le vicende geologiche e idrologiche di questa parte di Nordest prealpino. Era il lago Carera destinato alla rapida scomparsa per intorbamento. L’eredità sconosciuta che di lì a poco avrebbe lasciato alla storia e alla cultura era destinata a diventare un gioiello scientifico di livello internazionale.
La torbiera delle palafitte di Fiavé – uscita dal prosciugamento del Carera – è infatti iscritta nella Lista del Patrimonio mondiale dell’Unesco. Si tratta di un biotopo che protegge particolarità naturalistiche rare (luogo di riproduzione di varie specie di rettili e anfibi e punto di sosta per uccelli migratori) e che è insieme di uno scrigno storico con pochi uguali.
Per i suoi resti di palafitte – databili in particolare dal 2300 al 1200 avanti Cristo, ma con ritrovamenti spinti anche molto più indietro – il sito di Fiavé è registrato dall’Unesco insieme ad altri diciotto italiani di Lombardia, Piemonte e Veneto (soprattutto dell’area gardesana) e accanto a un’ulteriore novantina di luoghi palafitticoli delle Alpi (in particolare in Svizzera) dei quali assicurare la preservazione.
I reperti del lago Carera raccontano dell’insediamento di piccole tribù che costruivano le loro capanne poggiandole su palificazioni di pino, larice e abete tagliati nei boschi circostanti e su pavimenti di legni incastrati. Di queste strutture, affioranti in numero altissimo tra i canneti, si rintracciano ancora oggi – dopo quattro o cinque millenni e grazie alla particolare conservazione garantita dall’ambiente di torbiera – le insellature e gli incavi fatti con l’ascia.
Accumuli di rifiuti di notevole spessore, costituiti da resti di cibi e da scarti di materiali domestici, hanno fornito l’occasione per ricerche sulle usanze dei palafitticoli di Fiavé, testimoni di un modello di vita già stabilmente sedentario: vivevano di agricoltura e allevamento, raccoglievano frutti selvatici, cacciavano per avere un complemento alla loro nutrizione di origine principalmente stanziale, lavoravano il bronzo e modellavano la terracotta, conciavano le pelli, filavano e tessevano.
Se la zona del sito preistorico, irta di migliaia di pali che sbucano dallo strato torbiero, riesce soltanto a suggerire la ricchezza archeologica che ha conservato, è il Museo delle Palafitte nella Casa Carli, in centro a Fiavé, a parlare esplicitamente a studiosi e appassionati, e ai visitatori capitati per caso tra le meraviglie della preistoria trentina.
Il museo è stato curato dalla Soprintendenza per i Beni archeologici della Provincia di Trento e racconta una vicenda distribuita tra il tardo Neolitico e l’età del Bronzo. Vi sono illustrati gli scavi che hanno portato alla luce resti di capanne antichissime (3800-3600 a.C.), ma soprattutto del tempo della palafitta classica alzata sull’acqua (1800-1500 a.C.) e poi del momento evolutivo in cui le abitazioni furono costruite su pali ancorati a una struttura lignea reticolare collocata lungo la sponda e sul fondo del Carera (1500-1300 a.C.). Ciò prima che, alla fine del II millennio avanti Cristo, le tribù si trasferissero in terraferma, sul vicino Dos Gustinaci alto su lago e campagne, iniziando a costruire casette dalle fondazioni in pietra.
Le vetrine del Museo delle Palafitte propongono reperti notevoli (dai vasi in ceramica ai gioielli in bronzo, con qualche rarissimo pezzo in ambra del mar Baltico e in oro) e in particolare una raccolta di quasi trecento oggetti in legno, sopravvissuti nell’umidità anaerobica della torbiera: stoviglie da cucina, secchi, mazze, falcetti, trapani e anche un arco e delle frecce. L’ambiente particolarissimo che ha preservato le palafitte ha restituito anche spighe di grano, nocciole, corniole, mele e pere.
Un complesso di testimonianze che ha permesso la ricostruzione della vita quotidiana al tempo delle capanne sull’acqua in un grande plastico e in una serie di ambientazioni in cui sono attori della preistoria i contadini, i pastori, i fonditori del bronzo e i cacciatori, le donne all’opera in cucina e ai telai, le famiglie raccolte attorno al focolare domestico.